Il fondato timore di rientro nel paese di origine per le donne vittime di tratta
Un interessante analisi da parte del Tribunale di Bologna
Il Tribunale di Bologna con un recente decreto (emesso in data 16.02.2023 all’esito del procedimento N.R.G. 18343/2019) ha riconosciuto la protezione internazionale ad una donna originaria dell’Edo State vittima di tratta soffermandosi in particolare nell’analisi del presupposto del “fondato timore di persecuzione in caso di rientro nel paese di origine” e rappresentando come ad oggi tale rischio sia altissimo per le vittime di tratta dal momento che sia i governi locali che le organizzazioni internazionali non sono in grado di offrire loro tutela.
Si legge nel provvedimento che “Nel Paese della richiedente non si riscontrano al momento soggetti che possano offrire siffatta protezione.”
Ci è sembrata un’analisi importante in un momento storico in cui si mette in discussione il diritto del migrante vittima di tratta ad essere accolto in Italia e ad essere inserito in un percorso di integrazione sociale e lavorativo e/o avvalersi di una consulenza legale per il riconoscimento dello status di rifugiato
In prima istanza, l’analisi del caso concreto ci aiuta a capire come il contesto di provenienza della donna si rivelerebbe inospitale in caso di un suo rientro. Infatti, il Giudice nell’elencare gli indicatori della tratta si sofferma tra gli altri sui seguenti aspetti:
- “- il basso livello di istruzione;
- la condizione familiare: la richiedente proviene da una famiglia in cui è mancato il padre; lo zio prendeva ogni decisione compresa quella di costringerla ad un matrimonio quando aveva appena 16 anni; rimasta vedova avrebbe dovuto sposare il fratello minore del marito oppure un anziano;
- la provenienza da aree tipicamente interessate dal fenomeno.”
È evidente quindi che il contesto di partenza era assolutamente favorevole al fenomeno della tratta.
In relazione al timore di persecuzione, in particolare, il Giudice richiama quanto riferito dalla stessa ricorrente in udienza “ha spiegato di temere Peter e i suoi famigliari; tra l’altro la donna in Nigeria ha i due figli affidati al fratello che ben potrebbero divenire il bersaglio dei trafficanti insoddisfatti. Già i suoi trascorsi dimostrano che in Nigeria nessuno potrebbe sostenerla e sarebbe sicuramente oggetto, oltre che di stigmatizzazione, anche di retrafficking. La famiglia non è in grado di darle protezione rappresentando proprio la causa della sua partenza. E il fatto che oggi si sia sposata in Italia non modifica la conclusione posto che il marito, ora regolare, non la seguirebbe certamente.”
Con riguardo all’agente persecutore, dal racconto è emerso chiaramente che la ricorrente è stata consegnata dalla Nigeria alla Libia a vari trafficanti, di cui ha fornito i nomi e di essere quindi stata reclutata da un’organizzazione criminale consolidata e dedita allo sfruttamento della prostituzione. Si tratta, quindi, di soggetti privati, per i quali occorre effettuare l’ulteriore verifica di cui al passaggio seguente.
Il Giudice si pone il problema di appurare se nell’area di provenienza della richiedente, lo Stato ovvero partiti o organizzazioni, anche internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio (non anche altri soggetti privati) abbiano «la volontà e la capacità» di offrire al richiedente una protezione «effettiva e non temporanea» (art. 6 del d.lgs. n. 251/07).
È proprio la normativa nazionale il D. Lgs n. 251/07 che che ha recepito l’art. 4 co. 5 della Direttiva 2011/95/UE a precisare in cosa deve consistere questa protezione «nell’adozione di adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, avvalendosi tra l’altro di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave, e nell’accesso da parte del richiedente a tali misure» (ibidem)
Ebbene, secondo quanto riferito nel report E.A.S.O., Nigeria Trafficking in Human Beings, pubblicato nel 2021, le donne vittime di tratta “temono rappresaglie contro sé stesse o contro i loro familiari se fuggono dallo sfruttamento sessuale senza saldare il loro debito. Tuttavia, non esiste un quadro chiaro dell'entità e della misura in cui le vittime sono state effettivamente oggetto di rappresaglie dopo il loro ritorno in Nigeria e sono noti pochi casi concreti di rappresaglie durante nel periodo in cui è stato redatto il report. Diverse fonti hanno evidenziato che l'atteggiamento dei trafficanti nei confronti delle vittime che tornano in Nigeria senza pagare il debito si era inasprito. Ciò ha provocato rappresaglie contro i familiari delle vittime e/o la ritrattazione delle vittime della tratta rimpatriate […]”. (https://www.ecoi.net/en/file/local/2054389/03_2021_MinBZ_NL_COI_Nigeria.pdf, March 2021).
Il Tribunale di Bologna si sofferma e descrive la situazione dei rifugi NAPTIP [Nigerian National Agency for Prohibition of Trafficking in Persons] richiamando il report E.A.S.O., Nigeria Trafficking in Human Beings, pubblicato nel 2021 secondo il quale i rifugi “non sono all'altezza degli standard internazionali per la protezione delle vittime della tratta di esseri umani, secondo l'OHCHR. La mancanza di risorse sufficienti ha inciso negativamente sulla qualità complessiva dei servizi forniti dal NAPTIP. Fonti hanno indicato che, a causa delle cattive condizioni di vita, nel NAPTIP si rifugiano molte vittime della tratta di esseri umani ma alcuni - in particolare coloro che sono tornati dall’Europa - hanno rifiutato di risiedervi”.
Leggi il nostro articolo dove il Tribunale di Bologna ha riconosciuto lo status di rifugiato ad una nostra Assistita come motivo di persecuzione ed attribuendo alla minaccia di matrimonio forzato ed alla pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili.
Una ricerca condotta da un'organizzazione internazionale in Nigeria ha concluso che, nel complesso, i rifugi sono generalmente in cattive condizioni, mal attrezzati e con servizi minimi. Altre ricerche hanno indicato che, a causa della mancanza di risorse, la maggior parte dei rifugi delle ONG a Edo non hanno le competenze necessarie per gestire i comportamenti dei sopravvissuti alla tratta e alla migrazione, il che si riflette nella lenta risposta alle richieste di consulenza da parte delle vittime con una serie di problemi di salute mentale (p. 52 rapporto Easo)
Si legge nel report Easo che “L'elemento chiave è l'eccessiva dipendenza dai rifugi come mezzo principale per fornire sicurezza e assistenza alle vittime, la mancanza di risorse sufficienti, rifugi fatiscenti e mal attrezzati, restrizioni eccessive alla libertà di movimento dei sopravvissuti, e scarsa comunicazione e condivisione di informazioni con i sopravvissuti. (p. 55)”
Il Tribunale di Bologna riporta anche quanto rappresentato nel Human Rights Watch, You Pray for Death – Trafficking of Women and Girls in Nigeria del 2019 mettendo in evidenza i pericoli che i so pravvissuti alla tratta hanno affrontato una volta rientrati nel paese di origine:
- “urgente bisogno di sostegno economico. Quasi tutti gli intervistati di Human Rights Watch hanno detto che la loro situazione economica è peggiorata dopo la tratta, e hanno indicato la necessità immediata di un sostegno finanziario. La maggior parte è rientrata senza soldi, e non era stata in grado di inviare rimesse a casa. (p. 47);
- inoltre, i sopravvissuti possono sperimentare depressione, ansia, ostilità, flashback, disturbo da stress post-traumatico (PTSD), malattie infiammatorie, infertilità, gravidanze indesiderate, complicazioni da aborto pericoloso, abuso di sostanze/ dipendenza, perdita di peso, disturbi alimentari, disturbi del sonno e insonnia, tra gli altri problem (p. 49);
- le difficoltà finanziarie osservate dopo il ritorno in Nigeria hanno avuto anche effetti negativi sulla salute mentale sui sopravvissuti alla tratta. Hanno detto che la povertà e la mancanza di mezzi di sussistenza che hanno affrontato, e i debiti che hanno sostenuto, erano angoscianti. Anche se molti hanno detto che stavano ottenendo un certo sostegno dalle loro famiglie, si sono preoccupati di essere economicamente dipendenti e di costituire un peso finanziario per le loro famiglie. (p. 52)”
In particolare, con riferimento al caso in esame, ricerche e articoli apparsi sui media internazionali hanno confermato che la migrazione verso l'Europa per la prostituzione continua ad essere incoraggiata e accettata dalle famiglie e dalle comunità dello Stato di Edo dalle quali la prostituzione è accettata, a condizione che sia remunerativa.
Per questo motivo, ancora di più, in caso di rimpatrio a mani vuote, i rimpatriati vengono talvolta stigmatizzati e maltrattati. A volte le vittime della tratta nigeriana tornano con i bambini, soprattutto le donne che sono rimaste bloccate in Libia e sono state violentate dalle guardie e sfruttate sessualmente come prostitute. Il peso aggiunto di un bambino può portare ad atteggiamenti più ostili da parte dei membri della famiglia. (p. 49)
Le donne vittime di tratta hanno paura di deludere le loro famiglie e di essere stigmatizzate al ritorno in Nigeria.
La lettura di questo provvedimento è importante per comprendere che è una contraddizione ipotizzare un rientro delle donne migranti vittime di tratta proprio nel paese da cui chiedono di essere protette perché le stesse andrebbero incontro ad una vittimizzazione ulteriore e che è la normativa europea e nazionale ad imporre di intervenire per appurare se vi sono le condizioni pe un rientro sicuro e che un rientro sia possibile solo laddove siano garantite adeguate tutele alle vittime di tratta.
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